Con l’avvento della Fase 2, anche i tatuatori possono pensare di riaprire in tutta sicurezza.
Ma durante il lockdown non sono mancate irregolarità. Studi abusivi, tatuaggi fatti in casa, senza alcun rispetto delle norme igieniche. studi tatuaggi riapertura
A tal proposito, Costantino Sasso, uno dei professionisti più noti d’Italia, e patron di Tattoo Fest Napoli, ha lanciato un allarme.
La verità studi tatuaggi riapertura
“E’ più sicuro un tattoo studio che un autobus o qualsiasi altro luogo affollato“, dichiara il tatuatore ai microfoni di Tuscia Web.
“Guanti, mascherine, calzari, ingressi contingentati e ambienti sterili: chi entra in uno studio professionale sa bene che siamo formati per combattere ogni tipo di contagio e siamo attrezzati per fronteggiare perfino le più pericolose forme di contaminazione.
Tutto è monouso, sterile, completamente rivestito da pellicole monouso. Gli ambienti sanificati ad ogni operazione. E quando potremo riaprire useremo anche i camici monouso. I nostri scaffali sono da sempre pieni di tutti quei prodotti igienizzanti che ora vi affrettate a reperire“.
E’ evidente che l’emergenza Coronavirus abbia danneggiato un settore che in Italia dà lavoro a 20mila famiglie, contando oltre cinquemila professionisti che, peraltro, nei giorni precedenti, hanno inviato al Ministro della Salute Roberto Speranza un decalogo con le misure di sicurezza che rafforzeranno quelle già adottate in tempi normali.
La speranza è che il governo tuteli anche la salute dei consumatori, imponendo severe sanzioni penali a chi fa tatuaggi abusivamente.
“I tattoo sono arte, e, in quanto tale, non sono mai prodotti di serie B – continua Sasso – Immaginate la vostra quarantena senza aver fruito dell’arte: film, video, musica, letteratura, pittura.
La noia e la tristezza vi avrebbero assalito in maniera ancora più drammatica e i danni psicologici sarebbero lievitati. Eppure nemmeno una menzione“.
Toni critici non solo verso le istituzioni. Ma anche verso chi ritiene quello del tatuatore un hobby, e non una professione:
“Buon lavoro anche a chi, come me, si sente spesso dire ‘Ah, perché è un lavoro?‘ oppure ‘Se avessi fatto un mestiere normale…‘“.
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